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Successioni Pratiche

Domande & Risposte

No, come anche chiarito all’interno delle istruzioni di compilazione del modello di dichiarazione di successione e domanda di volture catastali dell’Agenzia delle Entrate, così come modificate in data 21 ottobre 2019: “Si ricorda, inoltre, che i beni comuni non censibili, privi di rendita autonoma, non sono oggetto di successione.”

Devono presentare la dichiarazione di successione:

– gli eredi, i chiamati all’eredità e i legatari (purché non vi abbiano espressamente rinunciato o – non essendo nel possesso dei beni ereditari – chiedono la nomina di un curatore dell’eredità, prima del termine previsto per la presentazione della dichiarazione di successione) o i loro rappresentanti legali

– i rappresentanti legali degli eredi o dei legatari

– gli immessi nel possesso dei beni, in caso di assenza del defunto o di dichiarazione di morte presunta

– gli amministratori dell’eredità

– i curatori delle eredità giacenti

– gli esecutori testamentari

– i trustee.

L’Agenzia delle Entrate specifica che se più persone sono obbligate alla presentazione della dichiarazione è sufficiente che la dichiarazione sia sottoscritta anche da uno solo dei soggetti obbligati. Dal punto di vista operativo ciò significa che il soggetto dichiarante può essere una sola persona ma nella successione devono essere indicati i nominativi di tutti gli eredi con le relative quote di devoluzione. Dunque se un erede si rifiuta di fare la successione, si potrà comunque procedere in quanto non è necessario ottenere l’assenso di un erede alla presentazione della successione. Non è necessaria, quindi, né richiesta la firma di tutti gli eredi ma è sufficiente la firma del solo dichiarante.

L’imposta di successione viene liquidata dall’ufficio in base ai dati indicati nella dichiarazione di successione tenendo conto anche delle eventuali dichiarazioni sostitutive. Il pagamento dell’imposta di successione deve essere effettuato entro 60 giorni dalla data in cui è stato notificato l’avviso di liquidazione. Scaduto tale termine si rendono applicabili, oltre alle sanzioni, anche gli interessi di mora.

È possibile pagare l’imposta di successione anche a rate, con queste modalità:

– almeno il 20% dell’importo deve essere versato entro sessanta giorni dalla notifica dell’avviso di liquidazione;

– la parte restante, è versata in otto rate trimestrali (dodici, per importi superiori a ventimila euro), sulle quali sono dovuti gli interessi calcolati dal primo giorno successivo al pagamento della tranche iniziale. Le rate scadono l’ultimo giorno di ciascun trimestre.

La rateazione non è ammessa per importi inferiori a 1.000 euro. Inoltre, la decadenza è esclusa in caso di “lieve inadempimento”, e cioè in caso di:

– insufficiente versamento della rata, per una frazione non superiore al 3% e, in ogni caso, a 10.000 euro;

– tardivo versamento della somma pari al 20%, non superiore a 7 giorni.

Il lieve inadempimento è applicabile anche al versamento in unica soluzione.

L’art. 16 comma 1 lett. b) del D. Lgs. 346/90, indica le modalità per il calcolo del valore delle quote e delle partecipazioni di società non quotate, ad esempio per le quote di SRL.

 

In particolare:

 

  • nel caso sia presente un bilancio o un inventario, il valore della quota deve essere individuato nel valore proporzionalmente corrispondente a quello del patrimonio netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio approvato e depositato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti rispetto alla data di apertura della successione ed escludendo l’avviamento

 

  • nel caso non vi sia un bilancio o un inventario, il valore della quota corrisponde, in proporzione, al valore complessivo dei beni e dei diritti appartenenti all’ente o alla società al netto delle passività ed escludendo i beni che non scontano imposta di successione, escludendo l’avviamento.

 

 

Le indicazioni di cui sopra fanno fissare alcuni punti importanti:

– che il bilancio al quale riferirsi deve essere l’ultimo pubblicato prima della data di apertura della successione (nonostante la dichiarazione di successione sia di natura fiscale, il bilancio cui si riferisce la norma è quello civilistico depositato al Registro delle Imprese senza che si debba considerare in alcun modo la dichiarazione dei redditi relativa a quell’esercizio);

– che, ove non risultasse alcun bilancio depositato, si potrà fare riferimento all’ultimo inventario regolarmente redatto dalla società che dovrà essere fornito dall’amministratore della società;

– che, ove l’ultimo bilancio depositato fosse datato nel tempo, bisognerà chiedere all’amministratore una situazione contabile alla data di apertura della successione.

La domanda di dilazione dell’imposta di successione non può essere inserita all’interno della dichiarazione.

 

Si dovrà attendere la liquidazione e la notifica dell’imposta di successione da parte dell’Agenzia delle Entrate agli eredi e quindi chiederne la rateizzazione.

Naturalmente la dilazione è concessa unicamente per l’imposta di successione e non per i tributi autoliquidabili (ipotecaria, catastale, ecc.) che devono invece sempre essere versati contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione.

 

Se il defunto risiedeva all’estero ma in precedenza aveva risieduto in Italia, la dichiarazione deve essere presentata all’ufficio dell’Agenzia nella cui circoscrizione era stata fissata l’ultima residenza italiana.


Se quest’ultima non è conosciuta, la dichiarazione va presentata presso la Direzione Provinciale II di ROMA – Ufficio Territoriale ROMA 6 – EUR TORRINO, in Via Canton 20 – CAP 00144 – Roma.

Secondo il nostro ordinamento quando due persone si sposano il regime patrimoniale che regolerà le “ricchezze” dei coniugi  sarà la comunione legale dei beni. Questo regime è entrato in vigore con la Riforma del Diritto di Famiglia e precisamente con la legge 19 maggio 1975 n. 151. Prima di tale data quello che ciascun coniuge acquistava, in costanza di matrimonio,  era di proprietà esclusiva di chi effettuava l’acquisto. Questo regime era un pò penalizzante per il coniuge “più debole” ovvero per quello che non lavorava, usualmente la moglie ed è anche per questo motivo che è stata effettuata la Riforma del Diritto di Famiglia. Interessante è capire come possono “muoversi” le persone che si sono sposate in quel periodo e hanno acquistato immobili. Durante il periodo transitorio  e cioè dal 20 settembre 1975 al 15 o 16 gennaio 1978 (questa duplice data è perchè il 15 era domenica e per alcune “scuole di pensiero”  si doveva fare riferimento al lunedì e quindi il 16)  si aveva questa situazione: coloro che si erano sposati prima del 20/9/1975 , trascorsi due anni (poi prorogato fino al 16 gennaio 1978),  sono assoggettati al regime della comunione legale dei beni per gli acquisti fatti dopo tale data del 20/9/1975, a meno che non sia stata espressa la volontà di uno dei coniugi, nel precitato periodo  tramite convenzione o  atto unilaterale ricevuto dal Notaio o dall’Ufficiale dello Stato Civile del Comune ove si sono sposati  di assoggettare tali  acquisti alla separazione dei beni, ai sensi dell’art. 228 primo comma; invece ai sensi dell’art. 228 secondo comma entro il 16 gennaio 1978 i coniugi potevano stipulare una convenzione per assoggettare alla comunione dei beni gli acquisti  compiuti anteriormente al 1975. Con riferimento all’acquisto effettuato da uno dei coniugi nel regime transitorio se deve intendersi in comunione legale o no si è espressa la Corte di Cassazione con ordinanza del 22 agosto 2018 n. 20969 sottolineando che  “la comunione legale, in assenza della dichiarazione di dissenso di cui all’art. 228, primo comma, della legge 151/75, decorre dal 16 gennaio 1978 ed interessa i beni acquistati dai coniugi separatamente nel primo biennio di applicazione della legge stessa solo se ancora esistenti nel patrimonio del coniuge che li ha acquistati”. Vige quindi in Italia la comunione legale dei beni; per  cambiare detto   regime patrimoniale ci sono due alternative: – dichiarare all’atto di matrimonio che si vuole optare per il regime della separazione dei beni; – successiva scelta del regime della separazione dei beni con un atto notarile. Un suggerimento: fare attenzione che la scelta del regime venga correttamente annotata sull’atto di matrimonio; questo controllo si può fare chiedendo al Comune un estratto dell’atto di matrimonio. In caso di acquisto: se i coniugi sono in regime di separazione dei beni possono scegliere se intestare l’ immobile solo a  uno, quindi l’altro non avrà niente, oppure se vogliono intestarlo ad entrambi è necessario che tutti e due i coniugi stipulino e firmino l’atto di compravendita e solo in questo caso diventeranno contitolari; se i coniugi sono in regime di comunione legale dei beni se interviene all’atto di acquisto un solo coniuge automaticamente, ai sensi dell’art. 177 C.C., comproprietario sarà anche il coniuge “non firmatario”.

Il fascicolo delle istruzioni lo dice in modo chiaro e fa un elenco ed è presente anche una tabella che le distingue per tipologia. Le passività sono le spese funerarie fino ad  Euro 1.033,00, le spese sostenute dagli eredi negli ultimi sei mesi di vita per spese di ricovero in struttura o di operazioni in ospedali del de cuius e poi tendenzialmente tutti gli altri debiti, ad esclusione di tutti quei debiti che non sono ricollegabili ad un cespite dell’attivo ereditario.

Ad esempio: il mutuo ipotecario per l’acquisto della casa è un debito che si può tranquillamente inserire in successione, però deve essere un mutuo acceso per pagare un immobile che effettivamente in quel momento cade in successione. Se si accende un mutuo per l’acquisto della casa di un figlio che viene intestata al suddetto figlio, alla morte del de cuius quel mutuo che è un debito, non potrà essere inserito in successione, perché collegato a un immobile che non fa parte dell’attivo ereditario.

Detto questo sulle passività vale la pena inserirle e tenerne conto e quindi capire se sono spese deducibili o meno solo di fronte a successioni che hanno una rilevanza per l’imposta di successione, cioè che non sono sotto soglia di franchigia, ma scontano un’imposta di successione perché le passività abbattono solo la base imponibile dell’imposta di successione e non toccano in alcun modo le imposte ipocatastali.

Ai sensi dell’art. 2122 del Codice Civile: Indennità in caso di morte In caso di morte del prestatore di lavoro, le indennità, indicate dagli articoli 2118 e 2120 devono corrispondersi al coniuge, ai figli e, se vivevano a carico del prestatore di lavoro, ai parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo grado. La ripartizione delle indennità, se non vi e’ accordo tra gli aventi diritto, deve farsi secondo il bisogno di ciascuno. In mancanza delle persone indicate nel primo comma, le indennità sono attribuite secondo le norme della successione legittima. Quindi il trattamento di fine rapporto, nel caso di morte del dipendente in attività di servizio e nel caso in cui i beneficiari siano fra quelli elencati dall’art. 2122 del Codice Civile:   – non concorre a formare l’attivo ereditario; – la sua corresponsione è indipendente dall’accettazione dell’eredità; – l’ente previdenziale non è vincolato all’adempimento dell’obbligo di cui all’articolo 48 del TUS (Testo Unico 346/1990) prima di disporne il pagamento   mentre entra a far parte dell’attivo ereditario negli altri casi (decesso successivo alla cessazione del rapporto di lavoro oppure beneficiari diversi rispetto a quanto indicato nel suddetto articolo 2122 C.C.). In questi casi il TFR deve essere indicato nel Quadro ER, tipologia CR.

I titoli di Stato o equiparati sono esenti dall’imposta di successione, indipendentemente dal loro valore e dal soggetto che li riceve in eredità.
Oltre ai titoli del debito pubblico italiano (Bot, Btp, Cct, nelle loro varie forme), l’esenzione si applica ai titoli del risparmio postale (che sono emessi dalla Cassa Depositi e Prestiti e garantiti dallo Stato) e ai titoli di Stato emessi dagli Stati appartenenti all’Unione europea e dagli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo. Sono inoltre equiparati ai titoli di Stato i titoli emessi da enti o organismi internazionali (Bei, Bers, Birs).

L’esenzione si applica anche ai fondi di investimento (o altri strumenti finanziari) il cui patrimonio comprende titoli di Stato (o equiparati), per una quota corrispondente alla percentuale del loro patrimonio che risulta investita in questi titoli. A tal fine la società di gestione rilascia agli eredi una lettera da allegare alla dichiarazione di successione.

L’investimento di parte del proprio patrimonio finanziario in titoli di Stato o equiparati può dunque rappresentare un modo per ridurre il carico fiscale in capo agli eredi al momento della successione, soprattutto nei casi in cui non è prevista l’applicazione di una franchigia (e quindi per i soggetti diversi dal coniuge, dai figli e dai fratelli o sorelle), oppure il patrimonio è di entità tale da superare la soglia della franchigia prevista dalla legge.

L’esenzione prevista per i titoli di Stato si applica solo alla successione, quindi questi sono tassati in caso di donazione.